Bentrovati Oncers del mio cuore imbabuccato da un multistrato di disincanto! Extreme Makeover-Home edition si trasferisce in quel di Once Upon a Time per una ristrutturazione che ha raso al suolo la famigerata "torre in mezzo al bosco", e non solo quella. Curiosi di conoscere l'opinione della Strega in merito? Da qualche parte ho letto che il viaggio perfetto è circolare: metafora calzante per questa mia ultima traversata stagionale su quel barcone sgangherato conosciuto come Once Upon a Time, visto che, parafrasando Jane Austen, non ho mai cambiato la mia opinione, perché ogni episodio recensito mi ha confermato di avere giudicato bene sin da principio. Potendo associare un sottotitolo non originale-sulla falsariga dei bodyguard lillipuziani di Biancaneve- a The Girl in the Tower, sarebbe “andiam,andiam,andiam ad arronzar,l’unica trama decente che ancor c’abbiam”. Non saprei come qualificare altrimenti la trovata del troll ruspante- nel senso di usato a mo’ di ruspa- evocato come un patronus, con la candelina accesa da Emma nel pilota invece della bacchetta, alla faccia di Harry Potter e del suo latino farlocco. Se da un lato, non ho mai fatto mistero delle mie fobiche riserve sul reboot di personaggi e fiabe già rivisitati nel precedente arco, digeribile solo a patto di considerarlo proprio tutta un’altra storia e non la mediocre appendice che, in effetti, si sta rivelando, dall’altro ho sempre apertamente simpatizzato per la Alice 2.0, pur figurando tutt’ora tra i “nessuno” che si sono goduti Ouat in Wonderland finché è durato. Immaginatevi,quindi, il mio entusiasmo nell’assistere alla dispersione scolastica, ovvero terra terra, di un potenziale narrativo che si profilava quasi illimitato nella premiere. Contraddistinta da uno stato confusionale da overdose di marmellata avariata (che mi ha solleticato un ipotetico cross-over nello stesso manicomio dove si era spontaneamente rinchiusa la sua doppelgangher nello spin-off) Nalice aka New Alice non ha nulla da spartire con chi l’ha preceduta nel medesimo ruolo: è ruvida, senza fronzoli, di parole e sentimenti semplici, espressi e vissuti così come sono. Soprattutto, come lei stessa ci aveva tenuto a chiarire nel suo primissimo flashback, le sue avventure non si sarebbero esaurite (il condizionale oramai è d’obbligo) nel trasferimento per incompatibilità ambientale nel Paese delle Meraviglie e/o in un vero amore da salvare e/o da cui essere salvata. Risulta, pertanto, inconcepibile che la sua trama finora sia consistita nell’ordine: 1) in una capatina nella sala da tè a cielo aperto del Cappellaio Matto; 2) nella detenzione illegale nella torre, dove moderna Robinson Crusoe dialoga con un cilindro, non essendo reperibile il pallone “Wilson” con il quale litigava Tom Hanks in Cast Away; 3) nella svolta LGBT che sembra perlopiù un contentino per gli orfani della mai concretizzatasi SwanQueen, oltre al tentativo di raccattare i consensi di una fetta del pubblico, troppo intelligente per lasciarsi adescare così. Chiariamoci brutalmente,onde evitare equivoci, laddove potessero sorgere: per quanto mi riguarda, i personaggi di Ouat, come di qualsiasi show io segua, possono farsi chi vogliono, di qualunque etnia o sesso preferiscano, in qualsiasi bosco, lago, antro o castello sfitto, purché tale scelta narrativa abbia un senso; sia, in altre parole, valore aggiunto e non accessorio. Qui non ce l’ha, poiché alla ragazza della torre-sia l’episodio che il personaggio-non serviva una ship per reggersi in piedi con “appena” 6205 giorni di home,sweet, tower da raccontare e la versione fantasy del Milione di Marco Polo da scrivere sulle avventure presumibilmente venute dopo. Sul prima, durante e dopo i quattordici anni prigionia di Edmond Dantès -per inciso, tre in meno di Nalice, intrappolata addirittura per diciassette primavere- Alexandre Dumas ha speso le oltre mille pagine più dense di eventi dell’Ottocento, possibile che Ouat non potesse ritagliare quaranta minuti in solitaria sulla futura cacciatrice di conigli ritardatari, senza cedere alla facile tentazione di appiopparle all’ istante una morosa? Raccontateci prima un po' di lei! Mentre il percorso di Emma, con la quale pure si sono voluti instaurare una serie di infruttuosi parallelismi, a cominciare dal desiderio di compleanno , è riassumibile nel graduale recupero della fiducia in quell’amore con la “A” maiuscola che un sortilegio infame le aveva negato (e di cui Uncinetto finiva per essere l’ineludibile corollario), il cammino di Nalice -che l’amore incondizionato, seppure per metà della sua esistenza, l’ha conosciuto- avrebbe dovuto avere uno scopo ulteriore, assai più impegnativo, ovvero confrontarsi con il mondo di fuori ed imparare a viverci e viverlo; come accade al Filippo di Leonardo di Caprio,dopo sei stagioni passate dentro alla maschera di ferro. Mi riferisco sia alla FTL che le era stata preclusa finché non ha improvvisato la prestidigitazione di Houdini, sia ad Hyperion Height dove l’alter ego,Tilly, si scontra con l’amara disillusione di non essere guardata,ma soltanto vista, con la voglia di essere creduta, e non soltanto udita. Alice, che potremmo senza forzature ritenere una variante di Ariel sulla terraferma, è portatrice di tematiche troppo importanti per limitarsi a scalfirle in superficie: l’isolamento fisico dal mondo esterno che costruisce una gabbia nella mente di chi lo vive e termina impaurito dalla libertà stessa, perché gli uccelli nati in una gabbia pensano che volare sia una malattia (Alejandro Jodorowsky); l’invisibilità agli occhi del nostro prossimo, troppo focalizzato sul rispettivo microcosmo per ricordarsi finanche della clientela abituale; il bisogno di sapere di esistere, di contare per qualcuno disposto a sceglierci contro i pronostici, non si possono risolvere all’interno di una storia d’amore, se innanzitutto non è chi vive tali condizioni a venirci a patti. L’incontro con Robin,sulla quale stenderò un cortissimo velo pietoso alla fine di questo paragrafo, avrà anche permesso alla ex reclusa di comprendere quanto essere liberi non significhi smettere in automatico di sentirsi prigionieri, ciononostante rappresenta una parentesi chiudibile alla svelta,come anzitempo fu per Charming e la prima Raperonzolo. Anzi,sarò l’unica, ma a me la ship neonata pare più credibile come sorellanza alla Snow e Rubi. E concludiamo proprio con la progenie della sempreverde serpeverde Zelena. Le colpe dei padri non dovrebbero ricadere sui figli(e viceversa), ergo lungi da me riversare l’irritazione per l’impunita madre sulla sua discendenza, tuttavia, al momento dell’arciera dalla treccia perfetta reggo soltanto l’alter ego interrail-Tibet-friendly, ovvero Margot. Anche qui,infatti, gli spunti interessanti sono stati sviluppati poco e male. Come quasi tutti i “figli di”, Nobin aka New Robin è vittima di un palese complesso eroico, ancora più difficile da superare perché il suo referente è il fantasma del compianto Manzotin, ovvero Robin Hood, primo della sua stirpe, capo dei Merry Men, fuorilegge per vocazione, padre di due, vedovo di una, anima gemella di Reginella, tatuato di leone, disintegrato nell’etere da Ade in persona per aver osato sfidare la lunghezza dei titoli di Daenerys. Scherzi a parte, come Enrichetto durante la pubertà, Nobin è convinta che il quarto comandamento (onora il padre e la madre) consista esclusivamente nella fedele riproduzione delle gesta eroiche dei trapassati, perciò spreca metà del suo screentime e della mia pazienza per capire di dover ripercorrere le orme paterne non per emularle, bensì per cercare di conoscere l’uomo cui è legata solo da un nome e dalla metà sana del proprio acido desossiribonucleico (DNA). In virtù di uno stranissimo fenomeno, comune un po’ a tutte le serie con protagonisti degli eroi, fumettistici o meno, ad un paladino della giustizia è concesso scendere dal piedistallo per il tempo strettamente necessario a dimostrarne la fallibilità e,soprattutto, la mortalità, ma è destinato a risalirci non appena il pivellino di turno decide di volerne proseguire la missione. Come se la fonte d’ispirazione fosse l’impresa e non chi l’ha compiuta, come se fosse l’impresa a fare l’eroe e non viceversa. Per questo a tutti gli spasimanti dei cattivi e/o gli antieroi per il solo fatto di trovarli personaggi più accattivanti,domando sempre-senza però ottenere risposta soddisfacente: avete una vaga idea di quanto eroismo occorra, di questi tempi poi, solo il riuscire a concepire il bene e crederci davvero, scegliendo di restare sul lato corretto della carreggiata, nonostante costi il doppio della fatica? Robin di Locksley è certamente una figura leggendaria, ma la sua grandezza,imposta dalle circostanze e non cercata per vanagloria, risiede nell’ essersi assunto la responsabilità di fare anche la cosa sbagliata-infrangere la legge- per la giusta ragione perché prima o poi arriva l'ora in cui bisogna prendere una posizione che non è né sicura, né conveniente, né popolare; ma bisogna prenderla, perché è giusta. (Martin Luther King) Le gesta sono tanto più grandi, quanto più nobili gli scopi che esse servono: è questa l’eredità che Nobin dovrebbe essere fiera di portare avanti, ovvero la volontà di fare il meglio che si può con ciò che si ha, anche se si è sconfitti sulla carta, perché non si combattono le battaglie che si possono vincere,bensì quelle che ne valgono la pena. In chiusura(sul serio,stavolta), la 7x14 ha evidenziato ancora una volta l’incapacità dello show di “scalare le marce”: l’azione o ristagna in una trafila di noiosi episodi filler oppure procede di gran carriera, condensandosi in una manciata di sequenze che, per quanto incisive e toccanti, restano capitoli isolati dentro una trama generale che continua a languire in un vigile assopimento.
L’angolino delle occasioni: - Il pungnale di Tremo è diventato il nuovo cristallo d’argento: ad ogni stagione c’è un nuovo accattone che intende accaparrarselo. - Enrichetto ha accalappiato la sorellastra sbagliata: Drin Drin era quella giusta per lui. - Atletica leggera vs maratona col grafobrancio: 0-1. - I walkie talkie salveranno il mondo. - Nalice è il Guardiano e/o è mai stata una bimba sperduta, come la citazione della seconda stella a destra che brilla a nord, lascerebbe intendere? Oppure il riferimento - La maledizione del cuore avvelenato funziona all’incirca come in Hancock,dove più i due protagonisti sono vicini fra di loro più si indeboliscono progressivamente diventando mortali e vulnerabili. Stando così le cose,Nook e Nalice non potevano restare insieme,ma a distanza di sicurezza? Per questa recensione è tutto,passo e chiudo. Alla prossima <3
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Novembre 2016
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